Il diario quotidiano di Monet

Il mio primo post per questo nuovo diario di bordo riguarderà le mie due principali passioni: l’arte e la fotografia. Ho scelto per questo di raccontarvi del mio viaggio a Parigi dello scorso novembre.

Ma prima torniamo indietro di qualche anno a quando mi sono trovata per la prima volta a confrontarmi con una tela di Monet. La prima volta che mi sono trovata davanti ad una delle sue opere fu al MOMA di New York (Le Ninfee) qualche anno fa. Ho percepito subito una sensazione di ebrezza che si è presto tramutata in disorientamento, forse l’esperienza più vicina a quella che chiamano “Sindrome di Stendhal” che abbia mai provato. Rimasi affascinata dall’opera che ricopriva quasi tutta la superficie della stanza, sembrava di essere proiettati nella tela. Mi innamorai subito dei suoi colori e dell’evanescenza di quelle piante che galleggiavano sulla superficie dell’acqua rievocando dalla mia memoria gli studi all’Accademia di Belle Arti di Firenze sul colore, sul loro significato e sull’asimmetria delle forme.
A distanza di diversi anni da quella visita al MOMA, qualche mese fa a novembre 2019, mi si è presentata l’occasione di visitare il Museo dell’Orangerie durante una vacanza di alcuni giorni a Parigi.

La fama che contraddistingue il museo dell’Orangerie è legata alla grande collezione di ninfee di Claude Monet.

Anche a Parigi la sensazione provata è stata la medesima. Quelle grandi tele e quei colori mi hanno rapito il cuore. 

Per Claude Monet la realizzazione di queste tele fu molto probabilmente paragonabile ad un diario quotidiano, un blog moderno (questo è un ulteriore motivo per il quale ho scelto questa esperienza come argomento per il mio primo post) dove usare al posto della scrittura la pittura, aggiungendo giorno per giorno elementi nuovi e diversi all’ interno dell’opera in divenire. La serie delle ninfee fu davvero vasta, si parla infatti di ben 250 opere che Monet realizzò in tarda età ormai completamente ammaliato dalla bellezza di questi fiori. Ricreò nel giardino della sua casa, dove abitò fino alla sua morte, un piccolo spazio verde che ricalcava la cultura giapponese con un ponticello e uno stagno ricco di ninfee e fiori di vario tipo. La costruzione di questo scenario paradisiaco permise a Monet di dedicarsi alla pittura di questi soggetti. Il suo lavoro nel tempo mutò, come mutevole è la vita delle persone e dell’artista: in un primo momento le sue tele, oltre a contenere innumerevoli specie vegetali, includevano anche elementi architettonici, come ad esempio il ponte giapponese citato prima, poi, con il passare del tempo, Monet venne catturato dalla bellezza e dai dettagli delle ninfee arrivando a studiarle nei minimi particolari e rendendole uniche protagoniste dell’opera mentre i vari elementi accessori, come il ponte, gli altri fiori e gli alberi lentamente scomparirono del tutto.

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